Missili sulle basi USA in Iraq. Fonte: iltempo.it

Non male come inizio di anno. E’ difficile aver così tanto da dire su di un’area che in genere fornisce, invero, sempre tanto materiale da analizzare ma in sostanza presenta un sistema politico bloccato tra equilibri di potere e deterrenza militare. Invece da una settimana si stanno scrivendo molto velocemente gli ultimi capitoli di una lunga storia: La storia dell’interferenza occidentale in Medioriente si legge sulle sue prime pagine all’inizio già nel 1798 con la presenza napoleonica in Egitto mentre le ultime trattano di un attacco a sorpresa tramite droni da guerra statunitensi che hanno colpito, uccidendolo, Qasem Soleimani su ordine di Trump. E lo hanno fatto su suolo Iraqueno innescando un’ escalation e un meccanismo di difficile disinnesco e che potrebbe portare nella peggiore delle ipotesi a una guerra vera e propria tra gli USA e l’Iran.
La risposta degli iraniani si è fatta attendere solo il tempo tecnico di organizzarla.
80 vittime, nessun americano, decine di missili sulle basi americane in Iraq una rappresaglia militare che ricordiamo essere vietata dal diritto internazionale, non meno dell’assassinio di Soleimani. Finora, però, la rappresaglia iraniana ha rappresentato solo un raro episodio di fuoco diretto tra Iran e USA ma non è stata devastante, come promesso e come l’importanza della perdita di Soleimani avrebbe suggerito. Paradossalmente potrebbe trattarsi di un chiaro segnale della volontà di descalare il conflitto. Vedremo fra queste ore come il presidente abbia intenzione di reagire.
La speranza che entrambe le parti non vogliano aprire un conflitto aperto è suffragata dall’assenza di dichiarazioni in tale senso da entrambe le parti.
Da parte americana se la strategia era colpire l’Iran per costringerlo a trattare sul nucleare e provare a spingerlo a un comportamento più “corretto” a livello ragionale, non sembra finora aver sortito l’obiettivo desiderato e questo è naturalmente solo un eufemismo. Una eventuale guerra con l’Iran, infatti, potrebbe lacerare ulteriormente il tessuto della vita politica americana nel mezzo dell’impeachment del Presidente americano, il cui secondo mandato è molto incerto.
La polveriera del mondo è il Medio Oriente e l’operazione “Soleimani martire” potrebbe scatenare un’escalation incontrollabile. Una battaglia che gli USA sarebbero pronti a combattere anche da soli vista la dura opposizione degli alleati alla strategia Trumpiana in Medio-oriente. Tra poche ore, sarà mattina in America ed è previsto il discorso di Trump. Sarà importante. Trump ha ora due opzioni: in primo luogo può dar seguito alle sue stesse minacce e proseguire nell’escalation con un’azione sproporzionata sul territorio Iraniano. Fonti americane indicano che gli Stati Uniti non stiano cercando una guerra con l’Iran pur, ci tengono a precisarlo, essendo pronti con il loro esercito. Pare che come nella crisi dei missili di Cuba fece JFK, Trump debba essere in grado di trattenere l’ira dei suoi generali che secondo fonti americane non ufficiali vorrebbero una massiccia rappresaglia.

Trump da parte sua vorrebbe probabilmente portare al sicuro i soldati in patria anche perché ha sempre visto le missioni internazionali come uno spreco di denaro. – Va tutto bene – ha twittato Trump e il fatto che nessun americano sia stato ucciso negli attacchi potrebbe in effetti offrire spazio per una descalation.

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