Soil for oil

 

mappa mediorienteUn po’ di aria fresca, si respira. E’ svanito lo spettro cattocomunista per il quale era sempre colpa degli americani e del capitalismo mondiale.  Francamente di questa verdastra abitudine fatta di stereotipi e analisi semplicistiche di politica estera, facciamo volentieri a meno.  E’ la semplicioneria di chi vede tutto chiaro o scuro, rosso o azzurro, senza mezze tinte. E’ una triste visione da guerra fredda. E’ un paradigma, per certi versi insuperabile,  per chi ci è nato e vissuto in quella guerra e per chi non ha mai, suo malgrado, potuto combatterla: per chi non ha potuto elaborare la sconfitta o raccogliere le spoglie della vittoria. E’ una critica che coinvolge anche noi, nati nel 1981, anche se ci rendiamo conto che tale visione dualistica è del tutto inefficace per interpretare le relazioni internazionali di oggi. Tale visione miope non spiega più nulla se non i decenni di negoziati falliti.

Eppure c’è ancora chi, persino nel grande fallimento delle “primavere arabe” e nel caos mediorientale, dà la colpa agli Stati Uniti e all’ Europa. Per questi nostalgici dell’ anti-americanismo ideologico, gli americani e gli europei, sono contemporaneamente colpevoli di aver fatto cadere i dittatori in alcuni casi e, nello stesso tempo, di aver ignorato le istanze democratiche dei popoli vittime di altre dittature. Sono contemporaneamente colpevoli di aver bombardato sfoggiando forza e arroganza e di non averlo fatto dimostrando, invece, debolezza a favor di Russia.

Sfortunatamente non è così semplice.  Pure noi ammettiamo di essere disorientati  e di far fatica a capire chi sta con chi, per quali obiettivi e che cosa ha in mente. Noi non ci accontentiamo delle versioni degli esperti accademici e dei giornalisti. Capire la verità, infatti,  necessita di una forza esplicativa superiore di qualsiasi teoria giornalistica di oggi. E’ molto più facile esaltare Putin che cercare di capirne strategie e pensieri.

E tuttavia ciò che bisogna ammettere è che anche noi siamo, culturalmente, un frutto del Secolo Breve. Anche noi, dunque,  facciamo fatica a interpretare una situazione in cui non ci sono cavalieri bianchi e cavalieri neri. Anzi se c’è un cavaliere nero, quello è l’ Europa coloniale e l’America imperialista. Il nostro passato riverbera sul presente e manifesta le sue conseguenze con un’ eredità politica compromettente. Noi abbiamo sempre tenuto più conto dei nostri interessi energetici che della democrazia, della libertà e delle condizioni sociali delle persone in gioco. Questo in gergo è mantenere la pace (peace keeping) solo dove conviene ma non è costruire la pace (peace building). E il “peace keeping” è l’unica cosa che siamo stati capaci di fare in questi decenni … e pure male.

Come conseguenza, Iraq, Libia e Siria sono stati errori gravi. Come conseguenza ora l’unica alternativa all’Is è un’inverosimile offensiva contro l’intero mondo arabo. Tutto ciò ha esiti tutt’altro che scontati. Fare di peggio dal punto di vista strategico era quasi impossibile. L’Isis non è la causa del disastro ma la conseguenza di scelte strategiche occidentali sbagliate e di mosse di riparazione ancora più sbagliate delle stesse scelte.

Diciamo questo tanto per essere chiari e per avere le carte in regola in merito all’onestà intellettuale. Tuttavia non è che le potenze locali abbiano brillato per strategia e buona fede. Arabia Saudita, Iran, Emirati, Qatar, Turchia e Egitto sono stati forse più eleganti e delicati che gli “elefantissimi” Americani?

C’è chi pensa che niente sarebbe accaduto senza una smobilitazione delle forze angloamericane dal centro della scacchiera: l’Iraq. Noi pensiamo invece l’esatto contrario: cioè che l’unica speranza per il mondo sia la smobilitazione dell’intero occidente da quella zona, il blocco delle relazioni Internazionali, a seguire, e una pace per il futuro con un accordo energetico. Naturalmente in questo tipo di scambio “soil for oil” Israele non dovrebbe essere un’eccezione.

 

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