Se quella di ieri fosse stata una tradizionale manifestazione sindacale, come se ne vedono ognitanto, non avremmo partecipato: spesso si tratta di cortei contro questo o quel provvedimento, che molte volte finiscono per essere motivati da un qualche pregiudizio di parte più che da altro. Ma ieri era diverso, ieri avremmo voluto essere in piazza San Giovanni alla manifestazione di CGIL, CISL e UIL “mai più fascismi”. Il termine antifascista non ci è mai piaciuto, se non altro perché riteniamo che la democrazia in quanto tale debba essere abbastanza forte da non essere mai “anti” qualcosa. Ma nel paese si respira un clima pesante, culminato con l’assalto alla sede della CGIL di una settimana fa che ha meritato la risposta della piazza di ieri. Fin dal 1993 e dal famoso endorsement di Silvio Berlusconi nei confronti della candidatura di Gianfranco Fini a sindaco di Roma, gran parte della sinistra ha fatto del pericolo fascista una delle sue bandiere. Si trattava chiaramente di una esagerazione visti i passi chiari, netti e ripetuti che il leader di Alleanza Nazionale ha compiuto negli ultimi 30 anni, perdendo in ogni occasione alcuni pezzi del suo partito e, forse, del suo elettorato. Oggi allora cosa è cambiato? Il contesto. Il panorama politico di oggi è molto diverso e rende necessario scendere in piazza contro il fascismo perché un fatto grave come quello di sabato scorso non si era mai visto. E la destra degli ultimi anni ha tollerato frasi e atteggiamenti che hanno lasciato terreno fertile a questi estremismi. Lasciando perdere le recenti inchieste giornalistiche, quando a una manifestazione pubblica di un partito un noto giornalista viene riempito di insulti e urla tra i quali “vattene ebreo!”, il campanello d’allarme deve suonare. Del resto, Giorgia Meloni faceva parte della classe dirigente di AN che seguì le prese di posizione nette di Fini già sopra citate, ma non si può dire altrettanto di alcuni dei dirigenti di Fratelli d’Italia come un certo Luca Romagnoli che è stato a capo del movimento Fiamma Tricolore fondato da Pino Rauti proprio in occasione della prima svolta finiana di Fiuggi. Organizzazioni come Forza Nuova e Casapound sono solo la punta dell’iceberg, la parte visibile di un neofascismo che si annida in certi ambienti politici. E la mancanza di prese di distanza nette da certi linguaggi (più ancora che da certe azioni) di una gran parte della destra italiana di oggi ha fatto si che definire ebreo in modo dispregiativo un giornalista venga visto con distacco, venga tollerato e sia stato quasi “normalizzato”. Ecco, questo clima si respira da qualche anno nel nostro paese ed è sfociato nell’aggressione alla CGIL della settimana scorsa. E non è più un campanello d’allarme che può essere ignorato, perché se da una parte è vero che la sinistra dovrebbe riconoscere di avere urlato “al lupo, al lupo!” per trent’anni quando il lupo non c’era, dall’altra oggi occorre dire chiaramente che non solo i recenti fatti di violenza vanno condannati, ma anche certi linguaggi e certe frasi devono restare sepolti nel passato non godendo di nessun ammiccamento e nessuna strizzata d’occhio o alzata di spalle. Avremmo voluto essere in piazza ieri per dirlo forte e chiaro e avremmo voluto che tutti i leader di tutte le forze politiche presenti in parlamento avessero avuto il coraggio di essere lì con noi.