Dunque è arrivato il grande giorno. Ieri il Senato della Repubblica ha votato la decadenza del senatore Silvio Berlusconi, per effetto della condanna definitiva nel processo sui diritti tv Mediaset e in conseguenza dell’applicazione della legge Severino. E’ la fine del berlusconismo? Certamente è la speranza di una grande parte dell’elettorato di sinistra e grillino, come di alcuni illustri politologi. Ma troppe volte è già stata venduta la pelle del Cavaliere di Arcore prima di averlo ucciso (politicamente, ovvio). Anche nella sua ultima giornata da senatore, Berlusconi non ha perso occasione per confermare il suo scarso senso dello Stato, preferendo un comizio in una piazza ad un discorso parlamentare, come un vero statista avrebbe fatto. Craxi, tra gli insulti e le monetine, si difese dalla pioggia di avvisi di garanzia e richieste di arresto davanti ai colleghi deputati, pronunciando due discorsi nell’aula della Camera che hanno segnato la storia del nostro paese. Ma erano altri tempi e il personaggio aveva un altro stile e un’altra levatura istituzionale. Eppure le argomentazioni non sarebbero mancate, perché se la sentenza di condanna e l’intero processo presentano alcune anomalie, la procedura seguita dal Senato per arrivare alla decadenza è stata a dir poco strabiliante, con tempistiche e regolamenti stravolti a colpi di maggioranza. Il risultato non sarà la fine politica del leader di Forza Italia, che potrà al contrario giocare sul vittimismo (in cui è bravissimo) e compattare il suo elettorato, facendo perfino tornare all’ovile alcuni elettori che l’avevano abbandonato. Perché, come dice Pier Ferdinando Casini, non è possibile liquidare la vicenda politica di Berlusconi e dei suoi elettori come una storia criminale. La sindrome da accerchiamento rafforza un gruppo, ma pare che gli elettori di sinistra (molto meno svegli della loro classe dirigente, in questo caso) non vogliano capirlo, condannando così il paese ad altri vent’anni di berlusconismo.
Moriremo berlusconiani?
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