Un concetto di Europa che è legato solo all’ economia va inevitabilmente in crisi in momenti di recessione. E’ così che gli ultimi anni hanno rappresentato un momento grigio nel progetto dell’integrazione europea e non il coronamento. Si sono riaccese ottiche di conflitti bipolari, e, anche quando il nemico era esterno, l’ Europa si è presentata a tali appuntamenti senza una “Politica Estera e di Sicurezza Comune” che pure era un pilastro (dei tre) del Trattato sull’ Unione Europea. Il popolo non è più solo deluso, è disgustato che è proprio diverso e sarebbe troppo semplicistico considerare questo rinnovato euroscetticismo come “populismo”. E’, infatti, il sentire comune, non le dichiarazioni degli esponenti politici, che oscilla tra l’ostilità e l’indifferenza. La verità è che la visione puramente realista dell’integrazione europea ha fallito su ogni fronte ed è tempo di cambiare passo e se si vuole salvare almeno il progetto iniziale. Occorrono cioè nuove idee e nuove definizioni. L’integrazione europea e la sua scuola realista insegnavano che l’intero processo di integrazione dei popoli doveva essere guidato da interessi egoistici e dal freddo calcolo economico. Appare oggi più che mai un vero e proprio non-sense. Eppure per un considerevole spazio di tempo, l’ Europa è stata altro. E’ stata qualcosa di molto forte, in grado anche di contrastare il fascino del nazionalismo che è sempre qualcosa di molto molto seducente, soprattutto in periodi di crisi valoriale e di crisi economica. Poi, invece, qualcosa si è perso per strada. Piano piano la logica bancaria e finanziaria si è mangiata tutto trasformando, lentamente ma inesorabilmente, l’economia da un mezzo a un fine, autoreferenziato e incontrollabile. In Europa come in Italia, evidentemente. L’europeismo però ha sempre dato il meglio di se in epoche buie della storia e le crisi sono sempre state un segno della sua vitalità e della sua capacità di riadattarsi alle nuove esigenze e definizioni per essere al passo con i tempi. In questo momento, sarebbe molto proficuo se l’attuale dibattito coinvolgesse non solo i mezzi ma anche i fini dell’integrazione. L’Europa di Maastricht e di Amsterdam non è la stessa cosa che fu per gli antenati: un’ Europa di Parigi e di Roma. Questa è la rottura con la precedente e fondativa continuità storica di idee. Il trattato di Maastricht e il suo dualismo, Unione economica-monetaria vs Unione Politica, è il simbolo di questa rottura. Il succo dei trattati costitutivi è l’Euro mentre la Conferenza Intergovernativa è nulla di più che retorica. E questa distanza emerge anche dalla prolissità del sistema politico europeo. Nulla a che vedere con la elegante semplicità della Costituzione Italiana per esempio. Procedure di consultazione, procedure di parere conforme, Parlamento che può approvare o respingere una proposta legislativa o proporre emendamenti, Consiglio che non è giuridicamente obbligato a tenere conto del parere del Parlamento sebbene, stando alla giurisprudenza della Corte di giustizia, non possa deliberare prima di averlo ricevuto. L’iniziativa legislativa spetta alla Commissione ma il Parlamento ha un diritto di iniziativa legislativa che gli consente di chiedere alla Commissione di presentare una proposta. Tutto molto poco lineare, insomma, tutto difficilmente assimilabile dalla base dell’elettorato europeo. Anche questa prolissità è un simbolo da non sottovalutare nella misura in cui l’Europa è un riflesso della sua società. Il momento storico attuale quindi può preannunciare la fine dell’ Europa ma anche può essere precursore di un nuovo rinascimento europeo. Un’ Europa diversa, costituita dai propri cittadini e non dai cittadini degli Stati membri.
Il sogno di Monnet e la fine dell’Europa Economica
.