Globalizzazione e moneta comune sono alla fine?

La pandemia scatenata dal coronavirus ci insegna che la globalizzazione intesa come delocalizzazione della produzione in vari Paesi del Mondo è stata un fallimento.
Ciò che per anni era visto come la soluzione per aumentare i profitti non ha funzionato e sta mostrando tutti i suoi effetti negativi.

Il ritorno alla produzione nazionale per i settori strategici quali l’energia, i trasporti, la produzione agricola, il settore sanitario, telecomunicazioni, trasporti, istruzione, ricerca, tutto ciò che in termini generali riguarda la sicurezza nazionale, dovrà necessariamente essere coordinato con un ritorno alla moneta nazionale.
Sembrerebbe un paradosso ed invece è pura logica produttiva e commerciale.
Finora se parte della produzione di un bene avveniva in Paesi dove la mano d’opera o le materie prime utilizzate costavano meno (non entro nel discorso etico e morale che pur conta, di lavoratori sotto pagati, senza assistenza sociale e/o dello sfruttamento dei minori) la considero strategica, dovrò necessariamente produrlo in Patria (pensiamo per il momento di riportare in Italia la produzione di mascherine di qualità che abbiano un alto fattore di protezione).
Oltre a questo, se veramente avrò una visione completa di sicurezza nazionale, giocoforza si dovrà decidere di diversificare ed aumentare quanto più possibile i beni prodotti in Patria al fine di rendere quanto più indipendente e meno vulnerabile l’intero Paese in caso di nuove pandemie e/o emergenze. Se si perseguirà questo obiettivo, significherà alzare di molto la resilienza dell’Italia.

La produzione che tornerà ad essere domestica e non più globalizzata, avrà gli standard tecnici ed economici nazionali quindi da un punto di vista strettamente commerciale, il nostro prodotto semplicemente non sarà più competitivo per il semplice fatto che visto dall’acquirente estero, costerà molto di più e quindi non potremmo esportarlo come invece sarebbe stato possibile se una parte della produzione fosse stata eseguita in un Paese estero con costi della mano d’opera e delle materie più convenienti rispetto all’Italia.
Made In Italy Icon Set Italian Product Labels - Immagini ...Se quanto sopra ha un minimo di ragionevolezza, la conseguenza sarebbe che l’Italia ha davanti due scelte: resta all’interno della moneta unica europea, l’euro, non accetta di riportare nell’ambito domestico le produzioni considerate strategiche con la massima diversificazione dei prodotti “Made in Italy”, oppure al contrario abbandona l’euro, ritorna alla moneta nazionale e sceglie la produzione strategica nazionale.Se opta per quest’ultima soluzione, adottando cambi variabili, non fissi come succede per l’euro, quando la produzione domestica di beni strategici incontrerà difficoltà commerciali perché considerati cari all’estero, sarà sufficiente variare il tasso di cambio per riportare competitiva a livello internazionale l’intera produzione nazionale. La politica dei cambi variabili potrebbe, ovviamente, essere integrata con una politica di sostegno pubblico alla produzione strategica (manovre fiscali e/o contributi alla produzione).
A livello internazionale occorre considerare anche il sistema dei dazi doganali.

Applicando un dazio sui beni che attraverso l’uso del cambio variabile e/o incentivi alla produzione diventano competitivi a scapito dei prodotti nazionali, si riporterà in equilibrio il prezzo di acquisto. In questo caso la differenza non sarà più originata dal costo di produzione ma dalla qualità del bene.

La pandemia ci sta insegnando, quando speriamo prestissimo sarà riconquistata la normalità, a considerare la moneta nazionale collegata al cambio variabile congiunto ad un attento uso dei dazi doganali e degli incentivi alla produzione non più come un passato arcaico sepolto sotto la grigia sabbia del Tempo ma come una nuova frontiera da riscoprire ed usare con intelligenza.
Historia magistra vitae est.

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