European Recovery Fund: una sconfitta per l’Italia

Ieri sera siamo stati informati che l’UE ha intenzione di dotarsi oltre agli strumenti già ampiamenti noti quali il SURE, il MES (light) ed i finanziamenti della BEI, di un “nuovo strumento” operativo denominato European Recovery Fund (brevemente ERF).

Vedremo nel corso di questa breve nota se è veramente uno strumento “nuovo” (voluto dall’Italia) e quali implicazioni comporta nel suo duplice utilizzo di prestiti e di sussidi.

Ad onor del vero, il primo a proporre pubblicamente questo nuovo strumento fu un economista tedesco Johannes HANN che in un articolo sul Financial Times dell’otto aprile 2020 apriva all’idea di un Fondo europeo che fosse a disposizione per la ripresa economica per sopperire al disastro dovuto alla pandemia del coronavirus.

Per maggior precisone riporto il sito del Financial Times dove si può agevolmente leggere l’idea di J. HANN https://www.ft.com/content/5341d58b-2673-4344-9f08-b1479a0b1e1d. Qualche giorno dopo (15 aprile 2020) il New York Times riprese nelle colonne quanto precedentemente divulgato dal Financial Times. Anche in questo caso riporto il link per facilità di ricerca https://www.nytimes.com/reuters/2020/04/15/business/15reuters-health-coronavirus-eu-recovery.html.

Sembrerebbe che quanto riportato dai mass media italiani, l’ERF fosse stata una originale idea italiana, non corrisponda al vero.

Poco importa la paternità (tedesca) dell’ERF, vediamo come si dovrebbe sviluppare e quali potrebbero essere le conseguenze così come descritte dalla Nota Tecnica sul Fondo di Ripresa Europea (traduzione italiana del costituendo ERF).

L’idea dell’ERF è quella di emettere titoli di debito garantiti dal bilancio UE al fine di utilizzare il maggior rating sul mercato internazionale e quindi essere più attrattivi rispetto ai titoli di debito degli Stati nazione, soprattutto per quelli maggiormente indebitati (leggi Italia, Spagna, Portogallo, Grecia ed Irlanda P.I.I.G.S. gli Stati “maiali” o GIPSI “zingari” che dir si voglia).

Non è ancora noto se questi titoli di debito che dovrebbero essere perpetui, quindi irredimibili, abbiano la possibilità di pagare interessi. Pare da un primo orientamento, tutto da confermare, pagherebbero un interesse dell’1,5%.

Vediamo l’utilizzo dei fondi acquisti dall’UE attraverso il collocamento dei titoli di debito descritti sopra.

I fondi raccolti sarebbero distribuiti ai Paesi dell’UE (27 Paesi) secondo due direttive: prestiti o sussidi.

Quest’ultimi, i sussidi, dovrebbero essere la parte preponderante al fine di non indebitare ulteriormente i Paesi (PIIGS- GIPSI) ad alto indebitamento.

I criteri di distribuzione dei fondi (questa è la vera novità) dovrebbero essere attinenti all’impatto che la pandemia ha creato nell’economia reale del Paese richiedente. Le disponibilità dell’ERF dovrebbero essere disponibili (il termine non è ancora noto) a partire dall’estate 2020.

La magnitudo dell’ERF dovrebbe essere di 1,5 trilioni di euro (1.500 miliardi di euro).

Al lettore non è sfuggito che nell’ ERF non è mai citata, nemmeno come riferimento, la BCE.

Vediamo ora la differenziazione fra prestiti e sussidi (nuovo lessico introdotto ieri, mai presente prima).

Circa i prestiti è presto detto, vi saranno delle condizionalità per il tempo, l’importo, le garanzie ed il tasso di interesse del rimborso (ancora tutto da definire). L’importante è notare che nella Nota citata sopra, l’uso condizionato dei prestiti è inteso come marginale rispetto ai sussidi per le motivazioni espresse sopra.

I sussidi, parte preponderante rispetto ai prestiti, disponibilità a fondo perduto, con pagamento di interessi passivi hanno delle particolarità.

Il servizio dei titoli emessi dall’UE per il finanziamento dei sussidi (leggi interessi passivi), saranno pagati con “nuove risorse proprie dell’UE”.

La domanda emerge spontanea: quali saranno queste nuove risorse proprie dell’UE?

Certamente non è possibile inserirle nella categoria dei contributi degli Stati nazionali perché si sarebbe declinato con “maggiori contribuzioni statali” dato che da sempre gli Stati contribuiscono al bilancio UE.

La sola “nuova risorsa propria dell’UE” che ragionevolmente potrebbe aderire alla “formulazione tecnica” è da prevedere in “nuove tasse europee”.

In aggiunta alle ben note tasse nazionali, parrebbe che dal nuovo ERF ci sia da aspettarsi anche nuove tasse europee.

Nulla di nuovo sotto il cielo stellato europeo.

USA, Svizzera, Cina e Regno Unito usano la rispettiva Banca centrale nazionale come prestatrice di ultima istanza, l’UE preferisce le tasche dei cittadini.

L’ERF, guarda caso, non cita mai la BCE. Un segno premonitore.

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