In questi giorni di isolamento causa coronavirus, siamo informati dai mass media della costante discussione attinente gli eurobond.
Gli emittendi (secondo alcuni) titoli di debito dell’intera UE. In precedenti articoli abbiamo evidenziato le difficoltà prodromiche per avere gli eurobond, qui per completezza velocemente le riassumo.
Un qualsiasi titolo di debito di uno Stato sovrano deve necessariamente avere la garanzia derivata dalla capacità impositiva e di riscossione dello Stato emittente per poter essere scambiato ed acquistato dai risparmiatori. Tutti, dal piccolo risparmiatore alle finanziarie, dai fondi comuni alle banche, eccetera.
Gli eurobond finché non ci sarà una fiscalità comune in Europa non godranno di alcuna garanzia sia per il rimborso finale sia per il pagamento degli interessi nel corso di tutta la durata del titolo. Ammesso e non concesso che gli eurobond siano immessi nel mercato, saranno particolarmente dannosi per i titoli di debito della Repubblica Italiana perché creeranno due categorie di titoli: uno di serie “A”(eurobond) ed uno di serie “B” (titoli di Stato italiani). In caso di improbabile emissione, essendo gli eurobond sovraordinati ai titoli di Stato italiani, in presenza di difficoltà finanziare la Repubblica sarebbe costretta a non rimborsare i BTP per dare privilegio al rimborso degli eurobond.
I titoli di debito europei costringerebbero ad un incremento del tasso di emissione dei titoli di Stato italiani (BTP) per cercare di contrastare la concorrenza degli eurobond. La lista sembrerebbe bastevole per indicare che gli eurobond non potranno essere emessi come invece costantemente ci informano i mass media. Quando sopra risulta tuttavia incompleto, occorre addurre altre considerazioni attinenti al mandato della BCE e all’ orientamento della Corte costituzionale tedesca (non italiana). Scorrendo gli articoli dal 127 al 133 del Trattato per il Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) si vede chiaramente che fra i compiti della BCE non vi è quello di essere la banca europea prestatrice di ultima istanza. Chiariamo questo punto con un semplice esempio. Quando esisteva la Banca d’Italia pubblica (prima del divorzio fra Banca d’Italia e Ministero del Tesoro del 1981 – Ciampi Governatore e Andreatta Ministro del Tesoro) il Ministero del Tesoro emetteva titoli di debito e la parte invenduta che non veniva assorbita dal mercato, per prassi era acquistata dalla Banca d’Italia emettendo nuova moneta (non vi era alcuna norma che obbligasse la Banca centrale – ancora pubblica, non privata come l’attuale Bankitalia – a comprare la parte invenduta dei titoli di Stato della Repubblica).
Questa funzione di prestatrice di ultima istanza è sconosciuta fra gli attuali compiti della BCE. Perché diventi una nuova aggiuntiva funzione della BCE occorrerà ovviamente modificare il TFUE con i tempi ed i modi previsti per la modifica dei Trattati internazionali. Tempo verosimilmente stimato 1-2 anni (salvo intoppi). Altro ostacolo questa volta di carattere giudiziario risiede nel probabile atteggiamento della Corte costituzionale tedesca di Karlsruhe. L’orientamento immutato della Corte è che ogni direttiva o provvedimento dell’UE potrà essere riconosciuto all’interno dell’ordinamento tedesco solo nel caso non contrasti con i principi fondamentali della Costituzione tedesca. Un segno di quanto la Corte sia attenta alle iniziative della BCE lo si è visto in occasione della prima decisione sull’Omt lanciato nel 2012. Già allora, i tedeschi osservarono che “l’indipendenza accordata alla Bce comporta una notevole riduzione del livello di legittimazione democratica delle sue azioni e dovrebbe pertanto dare luogo a un’interpretazione restrittiva e ad un controllo giurisdizionale particolarmente rigoroso del suo mandato”. Certamente la Corte tedesca potrebbe cambiare orientamento circa i futuri eurobond, cambio che ad oggi parrebbe molto improbabile se non impossibile. Se avvenisse, cioò andrebbe in contraddizione con quanto sentenziato in precedenza. Dopo i tempi necessari (1-2 anni) per la modifica del TFUE occorrerebbe aggiungere, come minimo, un altro anno per il giudizio della Corte di Karlsruhe. Questo significa che per ben che vada gli eurobond sarebbero legittimamente disponibili non prima di tre anni. A quel tempo la pandemia sarà finita (speriamo da tempo), molti governi saranno patrimonio della Storia e il Parlamento europeo compresa la Commissione Europea saranno in scadenza. Sono sicuro che assisteremo (ahinoi) ancora per mesi alla discussione attinente gli (improbabili) emittendi eurobond.