Cosa ha detto tra le righe e nelle righe stesse Bettino Craxi nel suo testamento morale, che è il processo Enimont? In quattro parole: quello che tutti sapevano. Da sempre. Tutti, magistrati compresi. Questo naturalmente non cambia di una virgola il giudizio morale, ma è giusto che sia scritto nei libri di storia. Come è giusto dire che il rapporto fra denaro e politica è sempre stato un problema per il sistema politico italiano e per i suoi apparati. Non cambia il giudizio ma sintetizza in maniera eccezionale, in quattro parole, tutta la vicenda della storia repubblicana: “quello che tutti sapevano”. Ed è nella parola “tutti” la chiave di volta per capire come sono andate le cose e come sarebbero andate a finire di lì a vent’anni.
Oggi, nel 2000, moriva Bettino Craxi in esilio ad Hammamet. Non lo vogliamo ricordare come un’eroe perché un eroe non fu. Nemmeno vogliamo parlare dell’uomo, perché l’uomo non l’abbiamo conosciuto. Ma a 16 anni esatti dalla morte alcune cose ormai appaiono chiare e vanno messe nero su bianco, perché ancora oggi sono oggetto di dibattito televisivo tra intellettuali e sedicenti tali.
Primo punto: Mani Pulite è voluta dal basso. Appoggiata, se volete, da qualsivoglia cospirazione (Comunisti, CIA, Men in black). Ma è voluta dal basso, dagli italiani, contro la loro classe politica quando ancora c’era un popolo italiano capace di giudicare moralmente. E più che dalle investigazioni giudiziarie, la legittimità di quella classe dirigente fu indebolita dalla mancanza di rendimento politico e dai conflitti interni al pentapartito.
Secondo punto: il sistema era veramente corrotto, come mai prima di allora. Mai la corruzione era stata così diffusa, nemmeno alla fine degli anni ’70 (caso Lockheed). E non corrisponde al vero che la magistratura intervenne eccessivamente e ad orologeria. Semmai è vero l’esatto contrario. Come è appurato che la Procura di Roma, abilitata a mettere sotto processo i ministri, non fu mai particolarmente sollecita. A questo va aggiunto che il dispositivo con il quale Camera e Senato venivano chiamati ad autorizzare a procedere era tale per cui la messa in stato di accusa doveva essere votata dalla maggioranza assoluta. Il pool di Mani Pulite ebbe invece vita più facile, in quanto nel ’92-’93 era necessaria la maggioranza assoluta per bloccare il procedimento… con tutti gli assenteisti, fannulloni e strategici, del caso.
Terzo punto: Craxi fu un grande. Nel bene e nel male. Fu un grande contro Reagan, fu un grande contro il Parlamento e fu un grande anche contro Di Pietro. Basti pensare alla differenza di livello tra i due durante l’interrogatorio più famoso di tutta Mani Pulite: Di Pietro fa battutine e sorrisetti per sdrammatizzare, implora quasi un sorriso o una smorfia amichevole di Craxi ma Craxi si mantiene serio, brusco, a tratti solenne. E’ lui che gestisce l’interrogatorio ma non solo. Lo fa a un livello più alto del mero livello giudiziario: a livello politico, su un piano superiore di ragionamento che Di Pietro, lo si vede, neppure percepisce. E infatti ridacchia come la reporter di “Palombella rossa” anche se “non era una battuta…”.
Cosa è rimasto dell’eredità politica di Craxi? E’ difficile rispondere a questa domanda. E’ più facile ma equivalente rispondere alla domanda esattamente contraria: cos’è rimasto del suo antagonista, Antonio Di Pietro? Cos’è rimasto dell’indagine condotta dal Pool di Milano che cominciò nel febbraio 1992?
Abbiamo sempre creduto alla legge fondamentale della politica, che poi è la legge fondamentale della Storia. Ci abbiamo sempre creduto anche quando erano i nostri a perdere: chi vince ha sempre ragione. Così brutalmente espressa, ma vera e inoppugnabile come una sentenza. E ha sempre ragione non perchè chi è nel giusto vince sempre, ma proprio perché la Storia funziona così, con i vincitori che la scrivono e i perdenti che rimuginano. Invece in quel caso entrambi hanno perso: hanno perso sia il bene che il male dell’Italia. Dunque ha perso l’Italia.